Latteria Sociale di Tomaselli (Strigno)

L'attività della latteria sociale di Tomaselli, piccola frazione di Strigno, nel Trentino orientale, pare inizi nel 1902, anche se il primo statuto societario venne redatto l'11 giugno 1914 e registrato il 21 dello stesso mese dal notaio Povinelli di Strigno. 

Vent'anni più tardi Annibale Trenti fondò la Società Civile Privata "Latteria Sociale di Tomaselli di Strigno – Valsugana", che rimase in attività fino al 5 giugno 1992.Per quasi un secolo la latteria raccolse e lavorò il latte prodotto nella frazione e nei vicini masi Latini, Bettega, Pellegrini, ma anche quello di Spera, Samone, Strigno, Agnedo, Villa e Bieno, diventando riferimento economico e centro di aggregazione sociale.Giornalmente venivano lavorati circa 450 chili di latte per produrre 40, 50 chili di formaggio in forme da 8, 10 chili ciascuna e dagli 8 ai 10 chili di burro.Oltre a conferire il latte, spettava al "socio turnista", proprietario della "cotta" giornaliera, provvedere alla fornitura della legna da ardere necessaria alla lavorazione, che avveniva in due grandi caldaie (calgere) di rame poste al piano terra.Alla chiusura l'immobile venne trasformato in magazzino e deposito dal Comune, che ne acquisì la proprietà nel 2003 e ne curò la ristrutturazione conclusasi nel 2008. Le foto della mostra, scattate dal professor Nereo Tomaselli di Strigno nel 1983, documentano le varie fasi di lavorazione nella latteria sociale di Tomaselli e ritraggono l'ultimo casaro Fabio Capra nelle sue occupazioni quotidiane. 
TRADIZIONE E INNOVAZIONE: LA LAVORAZIONE DEL LATTE DALLA MALGA AL CASEIFICIO
Fino alla prima guerra mondiale la malga si confermava ovunque come il maggiore centro di produzione lattierocaseario. Nei due mesi estivi, riferiva nel 1811 l'Hippoliti a Filippo Re, la Valsugana poteva svolgere anche qualche piccolo commercio di burro e formaggio con il vicino Veneto solo grazie alla produzione di malga. La qualità dei latticini sull'alpe era più pregiata "per  le migliori qualità delle erbe, che rendono gli animali più abbondanti di latte".Essendo la produzione quasi esclusivamente legata all'autoconsumo e al riparto tra i proprietari del bestiame, le quantità vendute erano modeste: quasi totalmente vaccino, a differenza del Tesino che aveva mantenuto il medioevale pecorino. Il Riccabona dà notizia di una certa produzione di pecorino anche in Fiemme, grazie ai Lamonati ed Enegoti che pascolavano in Cazzorga e ai Laghetti di Lagorai. Da tempo in Valsugana non si confezionavano più vestiti con la lana di tosatura, contrariamente alle vicine Fiemme, Tesino e Primiero.Dunque già nel 1811 la Valsugana si presentava, da un lato, come una valle più aperta alle innovazioni rispetto al resto del Lagorai (ad esempio solo qui era diffusa la stabbiatura), dall'altro più vicina all'abbandono delle tradizioni a lei proprie.Lo sviluppo della prima industrializzazione (serica, del tabacco, segherie, fucine), l'arrivo della ferrovia, le bonifiche agrarie delle paludi e dei Laghi Morti indussero un forte incremento demografico, al quale si cercò di dare una risposta alimentare sia introducendo nuovi cibi (la patata e il mais da polenta) sia incrementando il numero delle vacche da latte. Praticamente la totalità dei pascoli di fondovalle venne loro riservata a scapito delle pecore, allevate solo nelle greggi transumanti.A questo processo si sovrapposero due elementi di fondamentale importanza: la nascita della politica igienista e della disciplina agraria (con l'istituzione dei primi corsi di formazione della Cattedra ambulante per l'agricoltura dell'Istituto agrario di San Michele e dei servizi veterinari) e la riforma delle produzioni agrarie voluta dall'impero austroungarico per razionalizzare e migliorare la qualità e la quantità delle merci da immettere su un mercato nuovo, aperto dall'inurbamento e dalla rapidità dei trasporti ferroviari.In questo contesto nacquero i primi caseifici di fondovalle, generalmente ricavati al piano terra di edifici comunali. Scopo sociale era introdurre un vero e proprio sistema di produzione casearia, razionalizzando nei mesi invernali la lavorazione del latte, fino a quel momento esclusivamente casalinga. Grazie alla facilità di avere a disposizione macchinari più avanzati rispetto ai semplici strumenti di malga o di casa, la caseificazione fece un po' alla volta uscire il settore dall'empirismo generalizzato, profondamente radicato nel sistema di lavorazione in montagna. Progressivamente, nel corso del Novecento, si generò un duplice modo di fare, teoricamente collegato e in simbiosi, ma di fatto basato su mentalità sempre più divergenti: la malga tradizionale da una parte e "l'industria" casearia di valle, dall'altra.
Mentre nelle malghe si continuava ad avere condizioni di estrema precarietà sia sotto l'aspetto igienico e sanitario sia nell'uso di "arnesi primitivi poco corrispondenti", unite alla "quasi invincibile contrarietà a far cambiamenti" da parte dei malghesi, alla soglia della Grande guerra i caseifici di fondovalle, presenti in ogni paese, iniziarono a costituire uno dei punti di riferimento principali dell'economia domestica delle comunità di valle. Le famiglie possedevano una, due vacche e, a partire dagli anni Venti, praticamente tutti conferivano il latte al caseificio abbandonando la lavorazione casalinga. Qualcuno iniziò a ritenere più vantaggioso evitare di mandare le vacche in malga anche nel periodo estivo, complici le soventi epidemie di afta epizootica, la crisi economica del primo dopoguerra e la necessità di disporre nell'immediatezza di burro e formaggio da utilizzare come merce di scambio in assenza di moneta corrente.Mentre i caseifici si dotavano di tecnologie e macchinari, costruendosi anche una nicchia di mercato, ogni operazione di trasformazione nella conduzione della malga era comunque di difficile riuscita, mancando sostanzialmente la motivazione di fondo per attuarla da parte degli stessi malghesi. Infatti, mentre i caseifici di valle erano legati alle richieste di mercato e quindi costretti a un continuo aggiornamento, pena rimanerne esclusi, le malghe di montagna producevano ancora principalmente la quantità necessaria all'autoconsumo e al riparto. L'immobilismo dell'alpe, tante volte inteso come arretratezza, ha però permesso di tramandare fino ai giorni nostri saperi secolari che si reggono ancora sugli stessi cardini.Oltre alle cause socioeconomiche anche le tecniche di lavorazione differenziarono da subito i caseifici di fondovalle dalle malghe d'alpe: i primi adottarono il sistema svedese a raffreddamento del latte, le seconde mantennero la tradizionale spannatura immediata.Accanto alle zangole per la produzione del burro, nei caseifici comparvero già all'inizio del Novecento le spannatrici a motore, poi le scrematrici centrifughe di varia capacità. L'obiettivo era trasformare un processo artigianale in "industria del latte", con una maggiore garanzia nella stabilità del prezzo e delle forniture, nel rispetto delle norme igieniche e sanitarie e delle richieste del consumatore. Un po' alla volta non sarà più solo il casaro a determinare la qualità e il gusto del formaggio ma anche il tipo di latte fornito, le richieste del consumatore e le esigenze del mercato: elementi assenti nel sistema malga. Dopo gli anni Sessanta, paradossalmente, le logiche che fecero nascere e diffondere i piccoli caseifici di paese ne provocarono la crisi. I costi per l'aggiornamento delle tecnologie e derivati da norme sempre più rigorose, uniti alla trasformazione della zootecnia fecero nascere grandi stalle con un aumento di produzione del latte, eccessivo per le capacità di lavorazione del piccolo caseificio di paese; nello stesso tempo determinarono l'abbandono dei piccoli allevamenti familiari con la conseguente perdita di fornitura al turnario. La conseguenze sono, oggi, la presenza di grandi caseifici di valle che lavorano con processi di tipo industriale per rispondere alle richieste delle grandi catene di distribuzione; la chiusura di tutti i piccoli caseifici turnari che sarebbero stati connessi ancora alle economie domestiche dei paesi; la conservazione di poche strutture di caseificazione sull'alpe, testimoni di un fare completamente diverso per contesto sociale, economico e tecnologico.
Erica Masina

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Mercoledì, 11 Febbraio 2015 - Ultima modifica: Venerdì, 26 Febbraio 2016